giovedì 7 febbraio 2013

Prologo CPSS

Ed ecco che finalmente abbiamo il prologo dell'ultimo libro della Saga The Infernal Devices.
Per leggerlo in inglese cliccate QUI ..mentre sotto l'immagine lo trovate in italiano.
Buona lettura!
TRADUZIONE:

York, 1847

“Ho paura,” disse la bambina sedendosi sul letto. “Nonno, puoi restare con me?”
Dal fondo della gola di Aloysius Starkweather partì un verso d’impazienza, mentre trascinava la sedia più vicino al letto e ci si sistemava. Il verso d’impazienza era serio solo in parte. Era felice che sua nipote si fidasse così tanto di lui, al punto che spesso era il solo a poterla calmare. Il suo atteggiamento burbero non la infastidiva mai, sebbene lei avesse un’indole gentile.
“Non c’è niente di cui aver paura, Adele,” le disse. “Vedrai.”
Lei lo osservò con occhi enormi. Di norma la cerimonia della prima runa si svolgeva in uno degli spazi enormi dell’Istituto di York, ma a causa dei nervi fragili di Adele, e della sua salute, avevano deciso di comune accordo di portarla avanti all’interno della sua sicura camera. Lei era seduta sul bordo del letto, la schiena dritta. Il suo abito da cerimonia era rosso, con un fiocco dello stesso colore che le teneva indietro i capelli chiari e sottili. I suoi occhi erano troppo grandi per il suo viso sottile, le braccia strette. Tutto, in lei, era fragile come una tazza di porcellana.
“I Fratelli Silenti,” disse. “Cosa mi faranno?”
“Dammi il braccio,” le rispose, e lei glielo allungò, fiduciosa. Lui lo girò, osservando la pallida traccia blu delle vene sotto la pelle. “Useranno i loro stili – sai cos’è uno stilo – per disegnarti un Marchio. Di solito cominciano con la runa della Vista, che di certo conoscerai grazie ai tuoi studi; nel tuo caso, però, cominceranno con quella della Forza.”
“Perché non sono molto forte.”
“Per migliorare la tua costituzione.”
“Come il brodo di manzo.” Adele storse il naso.
Lui rise. “Speriamo non sia così sgradevole. Brucerà un po’, quindi dovrai essere coraggiosa e non piagnucolare, perché gli Shadowhunters non si lamentano per il dolore. Poi il bruciore passerà, e tu ti sentirai più forte, e meglio. E quella sarà la fine della cerimonia, e potremo andare giù, e festeggeremo con una torta.”
Adele calciò via i suoi tacchi. “E con un party!”
“Sì, un party. E regali.” Aloysius si tamburellò  sulla tasca, dove c’era uno scatolino nascosto – uno scatolino avvolto in una sottile carta blu in cui c’era un minuscolo anello di famiglia. “Ne ho uno per te, proprio qui. Non appena la cerimonia sarà finita, lo avrai.”
“Non c’è mai stato un party per me, prima.”
“È perché stai per diventare una Shadowhunter,” le rispose. “Sai che è importante, vero? Il tuo primo Marchio significa che sei una Nephilim, come me, come tua madre e tuo padre. Che sei parte dell’Enclave. Parte della nostra famiglia di guerrieri. Diversa, e migliore, rispetto a tutti gli altri.”
“Migliore di tutti gli altri,” ripeté lei lentamente, mentre la porta della stanza si apriva e due Fratelli Silenti entravano. Aloysius vide un barlume di paura negli occhi di Adele. La piccola sfilò il braccio dalla sua presa. Lui si accigliò – non gli piaceva vedere il terrore nella sua progenie, anche se doveva ammettere che i Fratelli, con quel modo di fare silenzioso e peculiare, i movimenti scorrevoli, erano spaventosi. Si mossero intorno alla parte del letto di Adele, nel momento in cui i suoi genitori entravano: suo padre, il figlio di Aloysius, indossava un’uniforme rossa; la madre aveva un abito dello stesso colore, a campana in vita, e una collana d’oro con una runa del Potere Angelico. Entrambi sorrisero alla figlia, che ricambiò tremante, anche se i Fratelli Silenti la circondavano.
Adele Lucinda Starkweather. Era la voce del primo Fratello Silente, Fratello Cimon. Ora hai l’età giusta. È il momento che ti venga impresso il primo Marchio dell’Angelo. Sei consapevole dell’onore che ti viene fatto, e giuri che farai tutto ciò che è in tuo potere per esserne degna?
Adele annuì obbediente. “Sì.”
E accetti questi Marchi dell’Angelo, che saranno per sempre sul tuo corpo, come ricordo di tutto ciò che devi all’Angelo, e del dovere sacro che hai nei confronti del mondo?

Lei annuì di nuovo, sempre con fare obbediente. Il cuore di Aloysius si gonfiò d’orgoglio. “Li accetto,” rispose.
Allora cominciamo. Comparve uno stilo, stretto nella lunga mano bianca del Fratello Silente. Fratello Cimon prese il braccio tremante di Adele e posò la punta dello stilo sulla pelle della bambina, e cominciò a disegnare.
Linee nere rotearono fuori dalla punta, e Adele le osservò, stupita, mentre il simbolo della Forza appariva sul pelle pallida dell’interno del suo braccio, una delicata composizione di linee intersecate le une con le altre, che incrociavano le sue vene, avvolgendole il braccio. Il suo corpo si irrigidì, i suoi piccoli denti affondarono nel labbro superiore. Alzò di scatto lo sguardo verso Aloysius, e lui trasalì per ciò che ci vide dentro.
Dolore. Era normale sentirlo, mentre si riceveva un Marchio, ma ciò che vide negli occhi di Adele… era agonia.
Aloysius si alzò di scatto, e la sedia su cui era seduto finì per terra dietro di lui. “Smettetela!” gemette, ma era troppo tardi. La runa era completa. Il Fratello Silente si ritrasse, fissandolo. C’era sangue sullo stilo. Adele stava soffocando i piagnucolii, memore dell’ammonizione del nonno di non lamentarsi – ma poi la sua pelle insanguinata, lacerata, cominciò a staccarsi dalle ossa, annerendosi e bruciando sotto la runa come se fosse in fiamme, e lei non poté evitare di reclinare il capo all’indietro e urlare, e urlare.

 Londra, 1873

“Will?” Charlotte Fairchild aprì leggermente la porta della stanza d’allenamento dell’Istituto. “Will, sei qui?”
La risposta fu un grugnito soffocato. L’anta si aprì del tutto, rivelando dietro di sé un’enorme stanza dai soffitti alti. Charlotte stessa si era allenata lì, e conosceva praticamente ogni curvatura del pavimento, gli antichi bersagli dipinti sul muro a nord, le finestre coi vetri quadrati, così vecchie da avere la base più spessa della parte alta. Al centro della stanza stava Will Herondale, un coltello stretto nella mano destra.
Voltò il capo verso Charlotte, e lei si trovò di nuovo a pensare che era davvero uno strano ragazzo – sebbene avesse dodici  anni sembrava a malapena un bambino. Era davvero grazioso, con folti capelli scuri che si arricciavano all’altezza del colletto – ora umidi di sudore, e appiccicati alla fronte. La sua pelle, quando era arrivato all’Istituto, era stata abbronzata per l’aria di campagna e per il sole; dopo sei mesi aveva perso il suo colorito, così che il rossore sulle sue gote spiccava. I suoi occhi erano di un blu inusualmente luminoso. Di sicuro, se in futuro fosse riuscito a far qualcosa per eliminare l’espressione corrucciata che gli deformava perpetuamente i lineamenti, sarebbe diventato un bellissimo uomo.
“Cosa c’è, Charlotte?” scattò Will. Aveva ancora un debole accento gallese, un modo di pronunciare le vocali arrotolandole che sarebbe potuto essere affascinante, se il tono di Will non fosse sempre stato così acido. Si passò una manica sulla fronte, mentre Charlotte oltrepassava l’anta della porta, e attese.
“Ti ho cercato per ore,” gli rispose lei con un pizzico di asprezza, anche se quel tono ebbe poco effetto su Will. Non c’erano molte cose in grado di fare effetto su Will, quando era in un certo stato d’animo, e questo succedeva praticamente sempre. “Non ricordi cosa ti ho detto ieri – che oggi sarebbe arrivato qualcuno di nuovo all’Istituto?”
“Oh, me lo ricordavo.” Will lanciò il coltello. Si piantò poco fuori il cerchio sull’obiettivo, e questo incupì Will ancor di più. “Solo che non mi importa.”
Il ragazzo dietro Charlotte emise un verso soffocato. Una risata, avrebbe pensato; ma come poteva ridere? L’avevano avvertita che il ragazzo giunto dall’Istituto di Shangai non stava bene, ma quando era sceso dalla carrozza, pallido, ondeggiando a mo’ di canna al vento, con i capelli scuri striati d’argento come un uomo di ottant’anni, e non un ragazzino di dodici, lei era riuscita a stento a evitare di trasalire. I suoi occhi erano enormi e nero-argentei, belli in una maniera strana, inquietanti in un viso così delicato. “Will, dovresti essere gentile,” disse, e trascinò il ragazzo dietro di lei all’interno della stanza. “Non far caso a Will: è sempre di quest’umore. Will Herondale, ti presento James Carstairs, dell’Istituto di Shangai.”
“Jem,” la corresse il ragazzo. “Tutti mi chiamano Jem.” Fece un altro passo in avanti, lo sguardo fisso su Will con amichevole curiosità. Parlava senza traccia di accento, il che sorprese Charlotte, anche se suo padre era… era stato… inglese. “Puoi farlo anche tu.”
“Beh, se tutti ti chiamano così, non mi stai facendo alcun favore speciale, no?” Il tono di Will era acido; per essere così giovane, era capace di essere sgradevole in una maniera incredibile. “Penso che scoprirai, James Carstairs, che sarà meglio per tutti e due se te ne starai per i fatti tuoi e mi lascerai in pace.”
Charlotte sospirò mentalmente. Aveva sperato così tanto che questo ragazzo, che aveva la stessa età di Will, si sarebbe rivelato in grado di liberarlo della sua rabbia e della sua cattiveria, ma in quel momento le parve chiaro che quando William le aveva detto che l’arrivo di un nuovo giovane Shadowhunter all’Istituto non gli interessava non stava mentendo. Non voleva amici, o vuoi per essi. Charlotte lanciò un’occhiata a Jem, aspettandosi di vederlo sorpreso, o ferito, ma scoprì che invece stava sorridendo leggermente, come se Will fosse stato un gattino che aveva cercato di morderlo. “Non mi alleno da quando ho lasciato Shangai,” disse Jem. “Potrei usare un partner – qualcuno con cui fare a pugni.”
“Anch’io,” rispose Will. “Ma ho bisogno di qualcuno che possa tenere il passo con me, non di un esserino malaticcio che sembra barcollare fuori dalla tomba. Anche se immagino che potresti essere utile come bersaglio per fare pratica.”
Charlotte sentì un brivido di orrore assalirla, dal momento che sapeva una cosa su James Carstairs che non aveva condiviso con Will. Barcollare fuori dalla tomba, buon Dio. Che cosa aveva detto suo padre? Che Jem aveva bisogno della droga per non morire, di un tipo di medicina che gli permetteva di sopravvivere, ma non lo guariva. Oh, Will.
Fece un passo per mettersi in mezzo ai due ragazzi, come se questo potesse difendere Jem dalla crudeltà di Will, in questo caso terribilmente più precisa di quanto lui potesse immaginare – ma si fermò.
Jem non aveva cambiato espressione. “Se con ‘barcollare fuori dalla tomba’ intendi ‘morire’, allora è così,” disse. “Ho circa due anni ancora da vivere, tre se sono fortunato, o così mi hanno detto.”
Neppure Will riuscì a mascherare il suo stupore; le sue guance arrossirono. “Io…”
Ma Jem si era mosso verso il bersaglio dipinto sulla parete; quando lo raggiunse, liberò il coltello dal legno. Poi si voltò e procedé dritto verso Will. Dal momento che era delicato come lui, erano alti uguale, e i loro occhi, distanti solo pochi centimetri, si incontrarono e incatenarono. “Puoi usarmi come bersaglio per allenarti, se vuoi,” disse Jem, con lo stesso tono casuale con cui si parla del tempo. “Pare proprio che io abbia poco da temere, dal momento che sei un pessimo tiratore.” Si voltò, prese la mira e lanciò il coltello. La lama si incastrò precisamente nel cuore del bersaglio, oscillando leggermente. “Oppure,” continuò Jem, voltandosi verso Will, “potresti permettere a me di insegnare a te. Dal momento che io sono davvero bravo.”
Charlotte li fissò. Per sei mesi aveva osservato Will allontanare tutte le persone che avevano cercato di avvicinarlo – insegnanti; suo padre; il suo fidanzato, Henry; tutti e due i fratelli Lightwood – con una crudeltà piena di odio, e precisamente accurata. Se non fosse stata lei l’unica persona ad averlo mai visto piangere, probabilmente avrebbe smesso di sperare che lui si sarebbe mai comportato gentilmente con qualcuno da, beh, un sacco di tempo. Ed eccolo lì, che fissava Jem Carstairs, un ragazzo dall’aspetto così fragile da fatto di vetro, con la durezza della sua espressione che lentamente si trasformava in incertezza. “Tu non stai davvero morendo,” disse, col tono di voce più strano di tutti, “non è così?”
Jem annuì. “Mi hanno detto di sì.”
“Mi spiace,” rispose Will.
“No,” mormorò Jem. Scostò la giacca per prendere un coltello dalla cintura. “Non essere normale, non così. Non dire che ti dispiace. Di’ che ti allenerai con me.”
Allungò il coltello a Will, dalla parte dell’elsa. Charlotte trattenne il fiato, terrorizzata all’idea di muoversi. Aveva la sensazione di star guardando qualcosa di davvero importante, anche se non avrebbe saputo dire cosa.
Will si sporse e prese il coltello, gli occhi ancora fissi sul viso di Jem. Le sue dita sfiorarono la mano dell’altro ragazzo mentre prendeva l’arma. Era la prima volta, pensò Charlotte, che lo vedeva toccare una persona di sua spontanea volontà.
“Mi allenerò con te,” disse.

Fonte: ShadowhuntersIT

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